L’uomo, l’animale, il territorio, il paesaggio
Natura e cultura, territorio e paesaggio, cielo e terra, uomo e animale, bianco e nero
Il fumo bianco e nero scaturito dalla pira augurale che i due fratelli Senio e Ascanio accesero per ringraziare gli dei dopo aver fondato la città di Siena. I cavalli bianco nero sui quali poco prima fuggirono da Roma. I colori del Duomo di Siena, i Guelfi bianchi e i Guelfi neri…
La Cinta Senese è di bianco e nero vestita e in bianco e nero è raffigurata nell’affresco nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena: “Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo” di Ambrogio Lorenzetti (1338-1340). Si tratta della prima opera pittorica di carattere laico e civile della storia dell’arte italiana, commissionata non dalla Chiesa, come per lo più accadeva a quel tempo, ma dal Governo dei Nove, un regime guelfo in carica dal 1287 al 1355.
Risale a questo periodo la Torre del Mangia, che, pur partendo da una levatura del terreno più bassa, raggiunge con la sua campana la stessa altezza del campanile del Duomo di Siena, simboleggiando così l’equilibrio raggiunto tra il potere celeste e quello terreno, evitando che uno prevalga sull’altro.
Il colore bianco: tra purezza e vulnerabilità
Il marchio del Consorzio di Tutela della Cinta Senese è in bianco e nero.
Il bianco è associato al latte, nutrimento primordiale e universale. La principale proprietà del bianco è la neutralità, lo stato di tutte le cose possibili, il divenire. Il colore bianco, nella sua accezione positiva, suggerisce la pace, la purezza originaria, la verginità, la saggezza. Secondo un’interpretazione negativa, invece, esprime fragilità e vulnerabilità.
Allo stesso modo del nero, il bianco non è veramente un colore. Se il nero equivale all’assenza di luce, il bianco corrisponde alla totalità dei colori. Il bianco trova tutta la sua solidità e la sua forza, quando è esaltato nella saggezza conferita nel tempo. Ma non c’è nessun bisogno di avere i capelli bianchi per essere saggio, così come i capelli bianchi non dispensano necessariamente la saggezza. Il neonato appena venuto al mondo è puro. Al termine della sua esistenza, se si è comportato bene e ha superato tutti gli ostacoli, dovrebbe ancora esserlo. Ma se il bianco appare un colore superiore, rimane tuttavia, fra tutte le tinte, quella più esposta e quindi la più vulnerabile. Basta poco per toglierli il suo splendore e macchiarlo.
Il colore nero: tra profondità e mistero
Il nero, poiché trattiene e assorbe la luce, si ricollega alle nozioni di profondità e di interiorità.
Sul piano della realtà esteriore, questo colore evoca le viscere della terra. Sul piano psicologico, invece, incarna l’inconscio e le oscure profondità della sfera psichica umana.
Il nero corrisponde all’assenza di luce. Esso trae la forza del suo significato dal suo carattere insondabile. Il nero è il tunnel di cui non si vede la fine, il pozzo di cui non si sa valutare la profondità. Esso è al di dentro, all’interno, al centro. Bisogna scavare per trovarlo: il carbone, il petrolio, materie ricche e vitali sepolte nel suolo. Il nero si trova nelle profondità dell’essere. Tutto ciò che è sotterraneo o nascosto ha attinenza col nero. È l’oscurità che precede l’organizzazione del mondo, il caos primordiale che cede il posto alla luce, prima creazione di Dio. L’oscurità che genera apparenta il nero alle forze notturne e occulte. Il nero è il colore che sembra governare l’immaginario. L’anima, d’altronde, in molte tradizioni, ha questo colore quando esce dal corpo.Da un punto di vista psichico, Il nero non corrisponde al pensiero logico e razionale, ma piuttosto alla vita fantasmatica, sia individuale che collettiva. Il nero si oppone alle idee di ragionamento, concettualizzazione e argomentazione. È tutto ciò che non si conosce, ma che tuttavia esiste. Il nero rappresenta il mondo infernale, caotico o depravato che contamina il bianco.
Al contrario, quando il nero è puro, diventa simbolo di elevazione, come nell’ebano, nell’inchiostro o nell’onice. In Occidente, il colore nero spesso viene associato all’idea di caduta, mentre in Oriente è visto positivamente come simbolo di profondità.
Acqua, architettura e difesa: la storia dei Bottini e di Siena
L’attività di tutela del Consorzio di Tutela della Cinta Senese, così come la pratica di coltivare e allevare degli allevatori Toscani, sono attività primariamente basate sulla fecondità della Cinta Senese e sulla fertilità della terra, e, quindi, sull’acqua. A Siena e per i Senesi, l’acqua è simbolo maggiore ed espressione della creazione e della purificazione. È molto di più che uno dei campi metaforici più fecondi.
La ricchezza e la popolosità che raggiunse Siena nel Medioevo, è dovuta anche a una grande opera ingegneristica chiamata i “Bottini”. Si tratta di un ingegnoso sistema di 25 km di cunicoli sotterranei utilizzati per canalizzare le infiltrazioni piovane dei terreni circostanti alla città, permettendo ad essa di avere un approvvigionamento idrico pur in assenza di un fiume. L’acqua trasportata, sgorga ancora oggi nelle innumerevoli fonti della città.
Sotto il Governo dei Nove (dalla fine del XIII secolo a tutta la prima metà del XIV) Siena cambia la propria immagine: alla pietra grigia si sostituisce il laterizio con la sua connotazione cromatica rossa.
È in questo periodo che si assiste alla costruzione del Palazzo Pubblico, della Torre del Mangia e la sistemazione del Campo. Le strade principali vengono selciate o mattonate, la cinta muraria viene ampliata e si tenta di edificare la cattedrale più grande di tutta la cristianità.
Sempre in quest’epoca, vengono scavati i sotterranei conosciuti come “Bottini”. Ci furono vari tentativi da parte dei nemici di penetrare nella città attraverso i suoi acquedotti: il caso più famoso è quello del 1526, quando Papa Clemente VII favorì una congiura per rovesciare il governo senese e trovò un alleato in Lucio Aringhieri, il quale promise di far entrare segretamente a Siena le truppe nemiche attraverso i bottini. La congiura fallì, perché un falegname, al quale erano state chieste delle scale, si insospettì e avvertì i governanti. Anche durante l’assedio del 1553 i bottini furono sbarrati, cercando però di non interrompere la portata di acqua.
L’uscita dal bosco e l’evoluzione degli allevamenti suinicoli di Cinta Senese
Quando i documenti di quell’epoca ci parlano di porci silvestres (i porci della selva), alludendo ai cinghiali, ci lasciano intendere che quella definizione non vale più per gli altri porci, cioè quelli domestici, non più individuabili come silvestri. Quando ciò accade, sentiamo di essere ormai fuori del Medioevo. Con l’affermarsi dei nuovi rapporti di lavoro mezzadrili, a iniziare dal XIII-XIV secolo, i contadini tendenzialmente concentrarono tutte le proprie energie e quelle della loro famiglia sul podere al cui interno continuarono a tenere qualche bestia. Nei secoli successivi l’allevamento nei boschi divenne così più marginale e vennero sperimentate tecniche nuove di stabulazione, con la creazione di porcili permanenti all’interno delle singole aziende agricole. Il maiale cominciò, quindi, a spostarsi dal bosco alla stalla. Questa “uscita dal bosco”, il venir meno progressivo dell’identità fra bosco e maiale che aveva tanta rilevanza nella cultura medievale, rappresenta una significativa rottura con la tradizione. Questo momento assume un particolare significato nella storia dell’economia e della società, poiché segna un’importante transizione.